La notte è scesa. La nave scivola sulle acque scure, verso una destinazione misteriosa. Nella stiva, gli uomini si radunano attorno alla luce tremula di un candela che sta per finire. Il lieve dondolio e il cigolio delle assi accompagnavano la voce dell'anziano marinaio. « ... Madri e uomini, corpo privi di vita di mangnanimi eroi, fanciulli e giovinette ignare di connubio, dal cuore nuovo al dolore. Così costoro si affollano attorno a me, pallide sembianze di forme vive. E io rimanevo lì fermo, finché il compagno s'accostò, bevuto il sangue sacrificale e mi riconobbe ...». Il ragazzo ascolta da lontano, col cuore che li batteva a mille. Sobbalza quando il Quartiermastro gli appoggia la mano sulla spalla. «Non dovresti ascoltare certe storie di eresia, mozzo. Vai a dormire. Domani ci avvicineremo all'isola, ci sarà da sgobbare». «Sì, signore, ma … credete davvero che il vecchio Benbow sia sceso …». «È solo una storia che ha sentito in un porto da qualche eretico ubriacone. Va' a dormire». Il ragazzo si avvia verso la branda. Si volta un'ultima volta verso l'anziano marinaio. La sua ombra si ingigantisce e trema assieme alla luce quasi esaurita. «“Ecco ancora che il Fato crudele mi richiama indietro, nel paese da cui ritorno mai è concesso e il sonno mi chiude gli occhi smarriti. E ormai sono trascinato via, avvolto da una notte immensa, mentre tendo verso di te le mani senza forza”. Così disse e, in un attimo svanì al suo sguardo, come il fumo si dissolve in soffi lievi». La luce si spenge e la stiva rimane al buio. Un'ultima ombra fugge via, oltre le assi cigolanti, verso l'abisso.
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